martedì 23 ottobre 2007

IL PARTITO DEMOCRATICO: NOVITA' O BUFALA?




Si fa un gran parlare negli ultimi giorni della nascita del PD come di un nuovo soggetto politico trainato dalla spinta di fantomatiche folle plaudenti e festanti per questa novità in grado di rivoluzionare la politica del nostro Paese.
Io sinceramente dubito che quella appena celebrata con le primarie sia una rivoluzione e dubito che ci siano elementi di novità nel Partito Democratico.
In primo luogo mi pare che il Partito Democratico non abbia sperimentato un nuovo modo di elezione partecipata dei vertici nazionali e locali in quanto la scelta di Veltroni e dei responsabili regionali, è stata frutto di una spartizione ex ante ed a tavolino tra le segreterie dei due Partiti che si sono fusi.
I cittadini hanno solo ratificato con il voto (e con un euro a persona) ciò che le classi dirigenti di Ds e Margherita avevano pattuito.
Prova ne sia il fatto che nessuno dei risultati , nemmeno quello del più piccolo paesino dell’entroterra lucano, ha destato sorpresa o si è discostato minimamente da quelle che erano le logiche spartitorie elaborate ex ante dai vertici di DS e Margherita.
Non mi pare un elemento di novità nemmeno l’ipocrisia di un Veltroni in dubbio fino all’ultimo se correre per la massima carica del nuovo soggetto politico o andare in Africa a dimostrare quanto è buono e caritatevole (a parole).
Veltroni ci ha abituato da tempo a simili recite da omino “sentimentale” che in pubblico fa l’indeciso e nelle segrete stanze obbliga i suoi colleghi di partito più rappresentativi (come Bersani, D’Alema, Fassino…) a non candidarsi alle primarie perché vuole essere sicuro che il suo risultato sia “bulgaro”.
Veramente non regge questa farsa da Kennedy de noantri che finge da un a parte di parlare al cuore della gente mentre dall’altra non accetta nemmeno un confronto democratico con gli altri candidati alle primarie pretendendo solo che la gioiosa macchina da guerra diessina si mobiliti tutta in suo favore.
Tutta quella finta suspance sull’esito delle primarie mi ha fatto venire il voltastomaco : forse Veltroni dubitava di vincere? Ma che uomo modesto !!!
Tale disgusto è acuito dallo sgradevole comportamento dei mezzi di comunicazione ( anche pubblici… vabbè ) che hanno assicurato all’evento ludico/elettorale un tam tam mediatico senza precedenti e di dubbio equilibrio.
Fino ad ora non mi pare ci siano grosse novità.
Ma come se ciò non fosse sufficiente, neanche la composizione della classe dirigente mi pare un esempio di rinnovamento:
Dall'analisi dei risultati delle primarie del partito democratico emerge la vittoria di Massimo D'Alema, che controllerà circa il 25% dei delegati dell'assemblea costituente; i fedelissimi di Walter Veltroni si aggirano attorno al 20% mentre la percentuale degli ex Popolari che fanno capo al ministro Giuseppe Fioroni è del 17-18%, da dividere però con Dario Franceschini.
Si assiste invece ad un vero e proprio ridimensionamento di Francesco Rutelli e di Fassino , che raccolgono meno del 10% a testa mentre c’è un tracollo dei prodiani che si attestano al 5%… insomma Partito “nuovo” potentati vecchi !!!
Ma la cosa che più di ogni altra mi fa pensare che il Partito Democratico è il solito equivoco progressista, sta nel fatto che esso appare una vera e propria fusione a freddo tra due compagini… una specie di imbellettamento politico che prima sceglie il leader, poi finge di eleggerlo a furor di popolo dimenticando ovviamente di fare chiarezza sui nodi programmatici e politici:
Dove si collocherà il Pd?Nel PSE o nel PPE?
Che posizioni ha sulle questioni etiche? Progressiste o cattoliche?
Sui temi della scuola e dell’Università prevale la linea cattolico conservatrice di Fioroni o quella progressista?
E sulla droghe chi prevale Binetti o Livia Turco?
La stessa cosa dicasi per i temi economici, ambientali, immigrazione ecc.
Mi pare che dietro il simbolo ci siano pochi contenuti intorno ai quali Veltroni pattina facendo evidenti esercizi di equilibrismo.

venerdì 19 ottobre 2007

PROTOCOLLO SUL WELFARE: E’ UFFICIALE… SIAMO DEI BAMBOCCIONI




Le nuove norme sul mercato del lavoro stabiliscono che al termine dei 36 mesi di contratto è possibile una sola proroga, davanti all'ufficio provinciale del lavoro con l'assistenza di un rappresentante sindacale. Proroga da cui possono derogare i lavoratori stagionali di quei settori disciplinati dal Dpr del 1963 e di quelli che saranno individuati attraverso avvisi comuni con i sindacati o attraverso accordi contrattuali collettivi. Infine, è stata messa a punto anche una sorta di clausola «transitoria» per risolvere il problema dei lavoratori che al primo gennaio 2008, all'entrata in vigore della legge, si trovino con un contratto a termine in corso. La soluzione individuata dovrebbe prevedere che per questi il conteggio dei 36 mesi, parta dopo 15 mesi dall'entrata in vigore della legge, e cioè da aprile 2008.
Tradotto in parole povere, la nuova disciplina legalizza la precarietà in quanto permette ai datori di lavoro di tenerti per 6 anni ( 36 mesi + proroga) con un contratto a tempo determinato.
Come se ciò non bastasse, Prodi ci ha tenuto a comunicare ai giovani che finalmente si pone un freno alle storture introdotte dalla legge 30.
Ma Prodi crede davvero che i giovani abbiano l’anello al naso?
E' una uscita veramente comica!!!
Come ho detto in un post precedente, io non sono aprioristicamente contro la flessibilità ma sono intimamente convinto che sia necessario porre un argine a quei meccanismi perversi che trasformano la flessibilità in precariato cronico.
Questa era l’unica modifica che mi aspettavo e che mi avrebbe fatto dire che finalmente qualcuno aveva capito , fuori da ogni schema ideologico e fazioso, quelle che sono le vere problematiche delle nuove generazioni.
Ho finalmente capito che non solo Padoa Schioppa pensa che i giovani siano degli inetti un po’ bamboccioni… dopo questa intesa sul welfare appare chiaro che tutta la compagine Governativa è di questo avviso!
Premetto che sono contrario ai contributi sugli affitti e sui mutui perchè innescano spirali inflazionistiche, però mi pare solo il caso di ricordare che un’altra mirabolante iniziativa per arginare il problema del diritto alla casa per i giovani è la concessione di un lauto contributo governativo per l’affitto pari a € 1500 all’anno… € 120 al mese... ma questi signori sanno quanto costa una casa in affitto?
La risposta è evidentemente no visto che Padoa Schioppa vive in una casa gentilmente concessa dalla Banca d'Italia e gode di aliquote fiscali agevolate... a queste condizioni anche per me le tasse sarebbero belle visto che le pagano solo gli altri.
Polemiche a parte, l’affermazione del Ministro dell’Economia sulla bellezza delle tasse non trova neanche supporti teorici e mi meraviglia che Padoa Schioppa ignori di fatto la Curva di Laffer.
La "Curva di Laffer” prende il nome dell'economista Usa che convinse Ronald Reagan ad inserire nel suo programma, alla vigilia delle presidenziali del 1980 negli USA, la diminuzione delle imposte dirette, teorizzando la presenza di un punto (assi cartesiani) d'incrocio tra i valori delle ascisse (aliquota fiscale) e delle ordinate (entrate fiscali) in cui l'aumento delle imposte fungerebbe da disincentivo alle attività economiche, determinando di conseguenza minore gettito fiscale. Nella sua dimostrazione grafica l’economista americano dimostrò che lo stesso gettito fiscale può essere ricavato con due aliquote differenti: ipotesi, quindi, che renderebbe del tutto inopportuna e controproducente l’utilizzo di quella più alta.
La teoria ci induce anche a convalidare l'idea che la maggiore pressione fiscale, in definitiva, scoraggi anche l'emergere delle attività sommerse e favorisca di conseguenza l’evasione e l’indignazione di chi le tasse le deve pagare.Il Ministro deve ricordare che ad aliquota onesta corrisponde contribuente onesto e che pagare le tasse è un dovere se lo Stato in cambio fornisce servizi adeguati altrimenti si riduce ad un dovere tanto quanto lo era il servizio di leva.

venerdì 12 ottobre 2007

COME VOLEVASI DIMOSTRARE... ECCO GRILLO IN POLITICA

(ANSA) - TRENTO, 12 OTT - Saranno Massimo D'Alema e il mondo dell'informazione i protagonisti dei prossimi "V-Day", rispettivamente a Strasburgo e in Italia.L'ha annunciato Beppe Grillo a Trento dove ha affrontato temi e argomenti legati alla politica.Sulla nascita di liste civiche per le elezioni comunali, ha indicato 3 requisiti per i candidati: essere incensurati, non avere tessere di partito e risiedere nel comune dove si candida. I curriculum saranno inseriti in un blog per essere controllati dai cittadini.

PS
ma la politica non era un brutto mondo?
e adesso con chi farà alleanze ?




Paolo Rossi: «Grillo? Un buffone che ha saltatolo steccato. Non sono mai stato comunista»


ROMA (11 ottobre) - Beppe Grillo? Un buffone che ha saltato lo steccato. La definizione è dell'autore e attore comico Paolo Rossi. A chi gli chiede se anche lui voglia rivolgersi alla piazza come il "collega" genovese, Rossi risponde: «Grazie no, mi tengo fuori dal mucchio. La prima regola di chi fa satira politica è quella di non frequentare i luoghi del potere. È bene che il buffone resti separato dal re». È Grillo il buffone? «In senso classico, naturalmente - risponde Rossi intervistato da L'Espresso nel numero in edicola da venerdì -. Grillo ha scavalcato lo steccato ed è diventato un predicatore. È una grossa perdita». Però Grillo ora è l'uomo più popolare d'Italia: «Appunto - replica il comico -. Quando metteva a fuoco i costumi e i difetti degli italiani, lo faceva con tante modulazioni diverse ed era grande. Basterebbe ricordare "Te la do io l'America". Oggi è un predicatore e ha un tono solo, è monocromo. E poi, che bisogno c'è di urlare? La comicità non ne ha bisogno, è di per sè violenza», aggiunge Rossi.Mai stato comunista. Rossi nell'intervista afferma poi di non essere «mai stato comunista» e ricorda anche il passato nella brigata Mussolini del padre. All'intervistatore che gli fa notare come tutti pensino invece che sia comunista, il comico risponde: «Forse perché sono stato anarchico da ragazzo. Devo la mia educazione politica a Remo, un anarchico ferrarese di quelli veri. Aveva fatto la guerra di Spagna e seppe riprendermi anche da una sbandata comunista». «Dopo essermi trasferito a Milano negli anni Settanta, un giorno torno a Ferrara e gli dico: "Remo, non sono più anarchico, sto con i comunisti che sono più organizzati". Lui mi risponde tranquillo: "Mah, tra 20 anni il partito comunista non ci sarà più e gli anarchici si". Aveva ragione, e nel 1992 incontrandomi mi sorrise sornione: "Hai visto?"». E' stato un problema avere un padre repubblichino per un ragazzo degli anni settanta? «Non per me. Trieste e i giuliani mi hanno allenato alle diversità molto prima che la politica sdoganasse gli ex ragazzi di Salò. Mio padre, che ora ha 92 anni, ha scritto un libro nel 2001 che si intitola "Prigioniero di Tito". Racconta la sua deportazione e il caos di quegli anni, con i buoni e i cattivi equamente distribuiti».Voglio aggiungere che mi sento in debito con il Movimento sociale, afferma ancora Rossi e subito spiega: «Io sono nato perché i miei si sono conosciuti in una sezione di quel partito. Si sono poi amati tutta la vita. Ora lei è morta da tre anni, ma ogni tanto a metà pomeriggio mi trovo a pensare: "Non ho chiamato mia madre!". E ne resto sempre atterrito».I maestri. Quest'estate Rossi ha riempito le arene con "Il giocatore" di Dostoevskij e con uno show satirico. «Da Fo ho preso l'affabulazione, da Gaber il rigore, da Jannacci la follia, da Strehler la teatralità», spiega il comico. «Mi piacerebbe dire che mi sdoppio solo perché mi piace. Ma la verità è che uno spettacolo finanziava l'altro, visto che non ho l'onore di sovvenzioni statali», aggiunge. Poi, alla domanda su chi gliele abbia negate, risponde così: «Vari ministri della Cultura. L'ultima lettera mi è arrivata due mesi fa: "La commissione all'unanimità non le ha riconosciuto qualità artistiche". Quindi Ronconi che ha voluto il mio Dostoevskij al Piccolo e il Mittelfest sono incompetenti. Vorrei che qualcuno del governo me lo spiegasse».Al teatro Rossi riconosce inoltre il merito di averlo «salvato». Da cosa? «È inutile negare che ho conosciuto la droga. Nell'ambiente ne girava parecchia. Ma siccome mi toglieva dal teatro, ho fatto vincere quest'ultimo. Però non si è mai fuori rischio -afferma -. Conosce la caduta del vicolo? C'è un momento dopo lo spettacolo che porta verso una caduta libera. Si chiudono i camerini, scende il silenzio. Le uscite degli attori danno di solito su vicoli bui, stretti e deserti. È lì che si annida il pericolo. Ti senti vuoto, cerchi un appagamento come quello del palcoscenico. Devi tener duro ogni sera, ieri come oggi. Poi per fortuna, un po' dello spettacolo continua nella cena con gli attori. Il vuoto si tampona, e puoi andare a dormire».


Luttazzi attacca: "Non metto in discussione che Grillo possa fare quello che fa, però l'ambiguità è lesiva, sia sul versante politico sia sul versante artistico-satirico. I suoi sono spettacoli o sono comizi?"

Roma, 14 settembre 2007 - "La satira non organizza, esprime opinioni personali. Grillo ha un progetto e una struttura e quando hai le due cose hai un partito. Allora devi sciogliere l'ambiguità. E' sbagliato dire 'se volessi porterei a Roma tre milioni di persone'. Diventa demoagogia, populismo".

Così Daniele Luttazzi, in una intervista al Manifesto, interviene sul caso sollevato dal V-Day, organizzato dal comico genovese Beppe Grillo. "Non metto in discussione che Grillo possa fare quello che fa, però l'ambiguità è lesiva, sia sul versante politico sia sul versante artistico-satirico - continua l'autore di Barracuda - I suoi sono spettacoli o sono comizi? Io sono d'accordo sulla manifestazione del 20 ottobre, nel mio monologo parlo di un sacco di cose che poi sono emerse in piazza a Bologna. Poi però non organizzo le persone dicendo loro: seguitemi questa è la via. La satira esprime dubbi".
Qual'è il punto di svolta di Grillo? "Il punto di svolta è nel fingere che non ci sia ambiguità - spiega Luttazzi - tra fare monologhi satirici e organizzare un movimento politico come leader. E sono evidenti i passi falsi compiuti da Grillo e dai suoi seguaci".

giovedì 4 ottobre 2007

I GIOVANI, LA FLESSIBILITA' E LE BUGIE DELLA POLITICA



La politica nell'ultima campagna elettorale si è spellata la lingua nel dichiararsi contro la precarietà nel mondo del lavoro ed ha dichiarato di voler ABOLIRE tale barbarie sociale.

Noi giovani che probabilmente siamo un pò più intelligenti di certi politicanti e di certi comici che parlano per slogan di cose che nemmeno conoscono, forse abbiamo un’idea leggermente diversa sul tema:

dichiarasi a favore o contro la flessibilità nel mondo del lavoro è da idioti perché non si possono avere posizioni aprioristiche su tale tema.

Faccio un paio di esempi:

1) in un’economia che funziona, flessibilità molto spesso è sinonimo di riallocazione immediata della forza lavoro nei settori produttivi che si dimostrano in un determinato momento più trainanti rispetto ad altri ( se oggi tira più la produzione di bulloni, il contabile, l’operaio ed il magazziniere si riallocheranno immediatamente in tale settore)

Al contrario in un’economia come quella italiana, la flessibilità è solo un voler trasferire il rischio d’impresa sui lavoratori ( se io sono un imprenditore e sono tartassato dalle tasse, vendo poco o voglio più utili, basta cacciare un pò di precari e così torno competitivo);

2) In un certo senso la flessibilità ha dato una mano ai giovani alle prime armi nei primi approcci con il mondo del lavoro permettendo di entrare sicuramente con rapporti instabili nelle aziende ma altrettanto sicuramente di riempire un curriculum che altrimenti sarebbe rimasto vuoto.

Da questi due esempi si evince che non ci sono crociate da fare sulla flessibilità ma semmai bisognerebbe orientarsi ad avversare quei meccanismi che trasformano la flessibilità in una sorta di precariato cronico e di lunga durata; in altri termini bisogna solo porre degli argini alla legge 30… e vabbè che devo fare esperienza ma non mi puoi farmi fare l’atipico a vita !!!
Ma analizziamo meglio le cose:
La progressiva diffusione dei contratti cosiddetti "atipici” ha ormai assunto, nel bene e nel male, un ruolo di rilievo nella dinamica dell’occupazione tanto che si può far risalire la ripresa occupazionale italiana all'inizio del 1998 con l’adozione del pacchetto Treu, che favoriva l’utilizzo di forme di lavoro a termine e a tempo parziale.
La riforma Maroni non ha fatto altro che proseguire nella deregulation iniziata nel ’98.
Da allora, infatti, la quota dei lavoratori impiegati a part time sul totale dei dipendenti è passata dal 7% a oltre il 12% nell’intera economia, arrivando a oltre il 16% nel settore terziario privato(Dati del 2003).
Anche i lavoratori a tempo determinato sul totale dei dipendenti salgono a loro volta, negli ultimi quattro anni, dal 7% a oltre il 12% se si escludono gli addetti all’agricoltura e al settore turistico-commerciale, dove è sempre stata alta l’incidenza dei lavoratori stagionali. Più elevata è, inoltre, la quota delle donne con contratti a termine e, soprattutto, quella dei giovani con meno di trent’anni, che raddoppia rispetto alla media degli occupati.

Ma è significativo anche l’aumento dei lavoratori assunti a tempo indeterminato e a tempo pieno, la cui dinamica nel corso del 1999-2003 ha chiaramente beneficiato degli incentivi (credito d'imposta) introdotti dalla Finanziaria 2001 per i nuovi occupati a tempo indeterminato e in seguito parzialmente confermati.
Se l’occupazione flessibile e precaria è considerata un fattore in grado di influenzare positivamente le statistiche, ritengo che sia fattore in grado soprattutto di influenzare negativamente la vita di tutti quei giovani che, accettando all’inizio della loro carriera lavorativa la flessibilità come buon modo per affacciarsi al mercato del lavoro, ne sono rimasti pian piano intrappolati.

La situazione complessiva del sistema Italia è abbastanza deludente e la lunghezza del ciclo economico negativo ha avvolto il nostro Paese in una spirale stagflattiva dalla quale difficilmente ci si potrà sottrarre se non con la radicale inversione di tendenza delle strategie economiche del nostro Paese.
Gli artifici finanziari dei Governi succedutesi negli anni capaci solo di fare cassa, le manovre non strutturali sui conti pubblici ed il mancato aggancio della ripresa economica mondiale, difficilmente permetteranno a questo Governo come altri Governi di liberare risorse fresche, utili ad intervenire nei settori nevralgici del malessere Italiano.
Certo se si evitassero demagogie e si indirizzassero i vari tesoretti alla riduzione del debito Pubblico, beh forse qualche risorsa fresca e strutturale la si riuscirebbe a recuperare.
L’economia reale del nostro Paese soffre la scarsa competitività nel settore dei servizi ove c’è poca concorrenza e la dinamica dei prezzi contribuisce massicciamente all’aumento dell’inflazione, elemento che più di ogni altro frena i consumi interni nel nostro Paese ed inficia la fiducia dei mercati e delle famiglie.
Se il sistema produttivo italiano, lungi dall’avere regali fiscali per giunta indirizzati quasi esclusivamente alle grandi imprese, avesse ottenuto dai Governi un concreto e generalizzato sgravio del costo del lavoro, forse avrebbe guadagnato in termini di competitività sui mercati esteri ed interni, avrebbe controllato la dinamica dei prezzi ed avrebbe raggiunto risultati lusinghieri in termini di occupazione stabile senza puntare sulla precarietà selvaggia.
Chiaramente, oltre all’inflazione cavalcante le famiglie hanno risentito di questa ondata di flessibilità selvaggia e miope che ha funzionato più come slogan che come moltiplicatore sull’occupazione.
La flessibilità, infatti, non è elemento che può aprioristicamente rendere virtuose le dinamiche occupazionali, non tanto dal punto di vista quantitativo quanto qualitativo.
In Italia, infatti, i contratti atipici hanno contribuito ad aumentare in termini meramente contabili il saldo occupazionale ma hanno diffuso un’incertezza ed un malessere sociale che ha paralizzato il sistema Paese.

Una politica del lavoro che non argini il ricorso sistematico e l’abuso del del precariato lavorativo per i giovani è definibile come liberismo selvaggio, far west e macelleria sociale.
Parimenti una politica del lavoro che miri ad abrogare la Legge Biagi, sarebbe definibile come demagogica e dannosa.
Per porre in essere una politica del lavoro che venga incontro alle esigenze delle nuove generazioni e della famiglia, forse sarebbe corretto non abolire tutte le forme di lavoro flessibile, ma correggerne le storture.
La legge 30 va emendata in modo che siano ben definiti e ristretti gli ambiti di applicazione del lavoro precario di cui oggi si abusa e che ad un aumento dell’insicurezza lavorativa corrisponda il giusto contrappeso in termini di ammortizzatori sociali e retribuzione..
E’ necessario che si limiti il pericolo del precariato cronico impedendo con sanzioni pesanti ai datori di lavoro di contrattualizzare perpetuamente lo stesso lavoratore a tempo determinato ricorrendo a semplici tecniche di elusione delle norme.
Sarebbe forse efficace incentivare le imprese ad assumere precari attraverso sgravi sul costo del lavoro proporzionali all’anzianità di precariato del lavoratore che assorbono con un contratto a tempo indeterminato e scoraggiando nel contempo il precariato perpetuo attraverso la progressività degli oneri a carico azienda calmierata sempre sull’anzianità di precariato del lavoratore.
Il Governo dovrebbe sostenere con maggiore forza il programma di riduzione del costo del lavoro rimodulando al rialzo gli oneri contributivi sul lavoro flessibile ed al ribasso quelli sui nuovi assunti stabilmente…. Invece per abolire lo scalone ha fatto l’esatto contrario !!!
E’ necessario riformare la Legge Biagi inserendo gli opportuni meccanismi di protezione sociale sui lavoratori espulsi dai processi produttivi aiutandoli nel loro iter di riconversione e riqualificazione e nella ricerca di una nuova occupazione.
Sarebbe anche importante che il Governo emendasse la Legge Biagi prevedendo pene più severe sul lavoro nero e sull’elusione delle norme come ad esempio il meccanismo del contratto a tempo determinato con successiva proroga, poi stacco di 20 giorni e successivo contratto a tempo determinato.
Tale meccanismo è attualmente consentito ed è il principale responsabile del cosiddetto precariato cronico.
Si tratta di tecniche che andrebbero scoraggiate oltre che vietate.

Urge riordinare un settore come quello delle norme in materia di diritto del lavoro, deturpato da una corrente di pensiero trasversale in base alla quale quanto maggiore è la flessibilità tanto più si sviluppa il mercato del lavoro.
L’incertezza sul futuro manifestata a più riprese dai giovani è li a dimostrare che tale assioma è errato se non prevede un argine a tali meccanismi.
L’ instabilità del lavoro, oggi più che mai costituisce il principale elemento frenante per la formazione di nuove famiglie, per la natalità, per la dinamica dei consumi e quindi per lo sviluppo del nostro Paese..

Non posso non ricordare inoltre che recenti studi hanno messo in evidenza nessi di causalità tra salute e stabilità lavorativa evidenziando che chi gode di forme contrattuali e retributive migliori, si sottopone più frequentemente a controlli medici e terapie preventive .
Allora smettiamo di credere alla favole di chi ci racconta che la flessibilità è un male e di chi ci viene a dire l’esatto contrario; sono le solite semplificazioni di una classe politica buona solo a sculettare in televisione.