martedì 21 ottobre 2008

Da Il Giornale


Non si capisce perchè predicatori del menga come Di Pietro riescano a prendere i voti...




Scorrendo le tante proprietà immobiliari, passate e presenti, di Antonio Di Pietro, il 4 agosto scoprimmo che l’ex pm aveva comprato un bell’appartamento nel centro di Bergamo a un prezzo scontatissimo dovuto alle «cartolarizzazioni» Inail. Intorno a quell’acquisto e ai rapporti che Tonino intratteneva con l’ente previdenziale proprietario di quell’immobile, il Giornale oggi ha trovato dell’altro: un iniziale interessamento di Tonino ad appoggiare proprio l’«Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro» nella battaglia contro la dismissione dell’immenso patrimonio immobiliare; quindi, la decisione di Tonino di comprarsi un immobile, giust’appunto dell’Inail, ricorrendo a oscuri escamotage; dopodiché, smentendo se stesso, la proposta choc di immettere nel mercato proprio il patrimonio degli istituti (Inail incluso) per far fronte al problema dell’emergenza-casa. Un agire schizofrenico, quello di Tonino. Sin dall’inizio. Da quando, per il tramite del co-fondatore dell’Idv, Mario Di Domenico, d’accordo con l’ufficio legislativo dell’Inail, Di Pietro stilò addirittura un disegno di legge (numero 3555, lui unico firmatario) finalizzato a sfruttare il patrimonio a favore degli stessi invalidi. Era talmente convinto di ciò, che con Di Domenico aveva perfino elaborato un libro («Revisione della rendita Inail», Ianua editore, costo 18mila lire,). Passò del tempo e il 22 settembre 2007, da ministro delle Infrastrutture, Di Pietro cambiò idea: all’università Luiss illustro l’elaborazione del suo «piano casa» spiegando che per risolvere l’emergenza abitativa bisognava destinare a terzi (non più solo agli invalidi) anche il patrimonio dell’Inail.
Ma torniamo alla compravendita. Nel luglio del 2004 Mario Di Domenico diffida l’«amico» Antonio Di Pietro e Silvana Mura (tesoriera dell’Idv) dal continuare a usare i fondi del partito «per fini diversi dalla comunione di scopo associativo». Ad agosto Di Pietro decide di servirsi di un prestanome per concorrere, senza apparire, all’acquisto dell’appartamento bergamasco di via Locatelli 29 (terzo piano, interno 12) che rientra fra quelli «cartolarizzati» dalla società Scip-Inail. A questa cartolarizzazione, dice la legge, non possono partecipare gli amministratori pubblici, quale era (al tempo dell’acquisto) Antonio Di Pietro, essendo già diventato parlamentare europeo, poi eletto alla Camera il 9-10 aprile 2006, diventando ministro il 18 maggio. Alla data dell’11 aprile (Di Pietro è deputato da un giorno) il perfezionamento dell’atto d’acquisto non aveva ancora terminato il suo iter di efficacia, dovendo seguire i tempi della «trascrizione» presso i pubblici registri immobiliari. Se il notaio incaricato dall’Inail avesse controllato i requisiti di «legittimazione delle parti» avrebbe scoperto che in quel momento Di Pietro era un pubblico amministratore dello Stato. Impossibilitato, dunque, ad acquistare l’immobile «cartolarizzato». Come se non bastasse, Antonio Di Pietro aveva partecipato all’asta restando nascosto, conferendo l’incarico a partecipare in nome e per suo conto a un certo Claudio Belotti, compagno della tesoriera del partito, Silvana Mura, nonché membro del Cda della società immobiliare An.to.cri, di cui Di Pietro è amministratore unico e la Mura membro del Cda. Per la cronaca in quest’appartamento Inail è transitata la stessa utenza telefonica in uso nell’immobile di via Taramelli precedentemente occupato dalla tesoreria dell’Idv, dunque da Silvana Mura. E ancora. La pubblicazione dell’asta-Inail avviene il 1° ottobre 2004. Il 10 novembre Belotti offre 204.085 euro, come cauzione ne deposita 20mila e rotti. La proposta, però, viene scartata dal Tar di Brescia (ordinanza 1884/2004) per irregolarità formali. L’appartamento va così alla Bergamo House Unipersonale srl, seconda aggiudicataria. Di Pietro, cioè Belotti, fa reclamo al Consiglio di Stato. All’udienza dell’11 gennaio 2005, però, non si presenta nessuno: né l’Inail né la Scip e nemmeno la Bergamo House. Persino l’Avvocatura dello Stato ritiene di non doversi costituire. Al giudice del reclamo non resta che accogliere la domanda di Belotti (cioè di Di Pietro) domanda che però - stando all’articolo 81 del codice di rito - andava rigettata qualora il giudice fosse stato informato che il vero compratore era un soggetto terzo con incarichi pubblici. L’articolo 1471 del codice civile è chiaro sul punto: «Non possono essere compratori, nemmeno all’asta pubblica, né direttamente né per interposta persona, gli amministratori dei beni dello Stato».
E ancora. Al momento di stipulare l’atto d’acquisto, il prestanome sparisce e compare finalmente Di Pietro con cinque assegni. Anche qui il notaio avrebbe dovuto rilevare che nel verbale di aggiudicazione risultava Belotti, il quale aveva costantemente reiterato il suo interesse personale all’acquisto agendo a nome proprio, e non per conto di Di Pietro, che ai sensi di legge non avrebbe nemmeno potuto farlo. In più, per attribuire la proprietà all’ex pm, il notaio avrebbe dovuto compiere due distinti atti (uno di aggiudicazione dell’immobile tra Scip-Inail e Belotti, un altro di compravendita tra Belotti e Di Pietro). Non l’ha fatto. Tonino ne ha pagato uno solo.

6 commenti:

Anonimo ha detto...

Buongiorno Geronimo!

La serietà imporrebbe di usare il proprio nome e cognome: le scrive luigi martino.

Il sito di Marco Travaglio riporta la sentenza del Tribunale di Roma in cui si sconfessano tutte le sciocchezze che lei ha ripreso nel suo articolo.
Indipendentemente dal colore politco e dalla simpatia che si può avere per una persona credo che la serità imporrebbe un atteggiamento intelletuale diverso.

geronimo ha detto...

il sito di marco travaglio non è la bibbia ( almeno per me).
Travaglio è abile a scrivere in maniera ineccepibile e scientifica una masnada di falsità... e qualche procura , mi pare , sia d'accordo con me

Unknown ha detto...

geronimo leggiti la sentenza:
http://ia310821.us.archive.org/2/items/DecretoArchiviazione/DecretoArchiviazione_jpg.pdf

Anonimo ha detto...

Vorrà dire che se non è vero Di pietro smentirà.Comunque resta il fatto che la sentenza assolve di pietro,non ci dice che non abbia usato un prestanome....Le sentenze danno un 'assoluzione legale,non già morale.Se per esempio una società di comodo compra le case per una persona coi rimborsi elettorali,puoi anche essere assolto perchè il fatto è legale,ma moralmente non è una "cagata".....

Anonimo ha detto...

A parte che marco travaglio non ultima questa condanna per diffamazione,aveva già avuto altre condanne per risarcimento danni ,non mi pare una persona alla quale dare molto credito.Un giornalista che viene condannato per diffamazione non ti fornisce alcuna garanzia di credibilità.Fa solo crociate sulla pelle dglialtri

Anonimo ha detto...

La sentenza è molto elegante ma non esclude che il fatto sia avvenuto.
Capisco che voi ragioniate a sentenze ( siete dei giustizialisti forcaioli) ma l'assoluzione morale e politica io non la darei ad un trombone come di pietro che predica bene e razzola male